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Nessun cane nasce killer

Negli ultimi anni nel nostro Paese sono state registrate diverse aggressioni da parte di cani contro persone e, in particolare, bambini. Alcuni di questi episodi hanno avuto un epilogo tremendo: lesioni gravissime e permanenti agli animali-uomini aggrediti. Da Padova a Torino passando per Napoli, la cronaca è ricca di tali eventi che hanno fatto ritornare alla ribalta la polemica sui cosiddetti “cani pericolosi” e, soprattutto, sulla presunta “minaccia pit bull”. La stampa si è buttata a capofitto pubblicando vere e proprie idiozie, generando quello che, fin dal primo momento, abbiamo definito “un clima da caccia alle streghe”. Chi scrive è più volte intervenuto nel corso degli anni per tentare di ricondurre il problema “aggressioni” nei giusti termini e per arginare la marea montante di richieste “capestro” contro i pit bull e i molossi in genere, come la sterilizzazione o, addirittura, la loro eliminazione. Nessun cane è pericoloso per natura. I comportamentalisti e gli etologi sono unanimi nell’affermare questo principio: i cani diventano pericolosi solo se addestrati o se si verificano condizioni tali da far scattare in loro il senso della difesa e quindi d’attacco. I cani quando vengono trattati bene sono affettuosi. Viceversa il cane addestrato per la guardia deve per forza diventare feroce e vedere nello sconosciuto un nemico.

Non ci sono cani in assoluto più feroci di altri.

Certo, una volta addestrati, ci sono quelli più pericolosi”. Ed é questo il punto: l’addestramento. Ogni qual volta che accade un’aggressione sarebbe importante sapere come il cane è stato addestrato e quali esperienze ha vissuto. La selezione mirata ad esasperare l’aggressività nei soggetti può giocare indubbiamente un ruolo, ma solo alla presenza di altri fattori, come l’addestramento, appunto. Un esempio per tutti, lo può dare il tanto bistrattato pit bull. Su questo cane e sulla sua presunta pericolosità è stato scritto tanto e, soprattutto, a sproposito. “Razza killer”, “cane assassino”, “animale creato in laboratorio”, “geneticamente modificato”, sono solo alcune definizioni usate per questi cani. Definizioni che sono all’origine di richieste “forcaiole” come “l’eliminazione” o “l’estinzione” della razza. Sulle origini dell’American Pit bull Terrier vi sono due diverse “scuole di pensiero”, una vede nel pit bull il diretto discendente dell’antico bulldog inglese, l’altra, invece, lo identifica come frutto dell’incrocio avvenuto nell’800 fra bulldog e old english white terrier. Fu selezionato come antagonista del toro nei combattimenti come la maggior parte dei molossi e molossoidi. E’ un incrocio che ha preso dal ceppo terrier il temperamento, la rapidità di reazione, l’eccellente agilità, la determinazione, caratteristiche proprie dei cani scelti per la caccia in tana, mentre dal ceppo molossoide ha ereditato mole e potenza fisica, straordinaria presa del morso, combattività e tempra. Per le sue particolarità morfologiche è il cane più utilizzato nei combattimenti, ma per diventare un lottatore, è sottoposto ad un addestramento violento e crudele. Senza questa vera e propria scuola di violenza è un cane tranquillissimo.

A riprova di ciò, basti pensare che per la sua versatilità viene utilizzato come cane anti-droga, come cane da ricerca, e nella terapy dog per l’assistenza a portatori di handicap.

Il pit bull non conosce la paura, ha una spiccata resistenza al dolore, può lottare per più ore di seguito anche con ferite, perdite di sangue e ossa fratturate, tant’è che sono stati segnalati casi in cui soggetti moribondi continuavano a mordere l’avversario. Ma per farli combattere bene bisogna istigarli a dovere e il metodo più persuasivo e più usato consiste nel maltrattarlo. Ha un carattere fortemente dominante ma solo verso cani adulti dello stesso sesso. Addirittura è considerato dagli addestratori professionisti di scuole specializzate in cani da “intervento” per servizi di sicurezza e difesa pubblica, un cane poco adatto alla difesa e alla guardia per il suo comportamento affettuoso verso le persone e perché mal tollera il tipo di addestramento all’attacco sull’uomo. Inoltre, bisogna sottolineare che gli esemplari utilizzati e addestrati esclusivamente per i combattimenti sono molto aggressivi nei riguardi di conspecifici, ma per nulla nei riguardi degli esseri umani in quanto devono essere gestiti e “manipolati” dai loro padroni aguzzini. Questo è un punto importantissimo, perché si giustifica la presunta pericolosità dei pit bull con il fatto che sono utilizzati nei combattimenti. Ma è proprio vero il contrario: un cane addestrato ai combattimenti non è, e non può essere, pericoloso per le persone, perché deve essere sottomesso all’uomo.
Non cani killer quindi, ma solo animali addestrati ad aggredire. Non si tratta di una componente genetica ma solo di stupidità umana. Ma perché i cani attaccano? Le motivazioni possono essere diverse, ma quasi tutte si possono raggruppare in tre principali motivi: per difendere se stessi, il territorio o il padrone. Un cane dominante che vive in appartamento, ad esempio, tenterà di mantenere il possesso dello spazio che occupa cercando di controllare sempre la situazione, magari posizionandosi nei luoghi di frequente passaggio e in quelli sopraelevati, come il divano. Nel momento in cui lo spazio-divano viene occupato da estranei-ospiti, va da se che ciò sarà interpretato come un tentativo di occupazione del proprio spazio e ciò può far scaturire reazioni aggressive.

L’aggressività da dominanza il più delle volte si manifesta durante le normali situazioni della vita quotidiana e soprattutto all’interno delle mura domestiche, nei confronti dei membri della famiglia o di alcuni di loro, il più delle volte verso persone che hanno lo stesso sesso del cane. Queste condotte ostili, frequentemente sono alimentate da comportamenti ed atteggiamenti errati interpretati come sfida: il guardare direttamente il cane negli occhi, o assumere un tono minaccioso o impartire una punizione. Konrand Lorenz ci ha insegnato che solo l’uomo usa l’aggressività per torturare e per far male. Gli animali, invece, diventano feroci esclusivamente quando è in gioco la sopravvivenza o si viola il loro spazio vitale. L’aggressività, dunque non è mai immotivata e gratuita. La componente genetica di alcune razze conta poco. Alcuni studiosi non hanno difficoltà a sostenere che la componente genetica dell’aggressività è identica in un pit bull o in uno yorkshire; ovviamente gli effetti dell’aggressione saranno diversi, ma le ragioni sono le stesse in entrambi i casi: difendere se stessi, il padrone o il territorio da attacchi esterni.

Gli animali, e in particolare i cani, interpretano ogni minimo movimento fatto dall’uomo: la sua espressione, il suo modo di fare, i gesti delle mani, ecc.; se da quest’interpretazione nasce un senso di pericolo, allora la risposta sarà “difensiva”. Ma prima di arrivare all’atto conclusivo dell’aggressione, l’animale lancia una serie di segnali di “avvertimento” come il pelo arruffato, i denti scoperti, le orecchie piegate contro la testa, il ringhio sordo e continuato, il muoversi con fare minaccioso. Solo alla fine, laddove gli “avvertimenti” non sono serviti a far cessare l’atteggiamento offensivo nei suoi riguardi, il cane aggredisce. E’ chiaro poi che, se ad aggredire è un cane da presa, le conseguenze possono essere tragiche. La pericolosità, quindi, non va cercata nelle razze, ma nell’uso improprio, che a volte diventa criminale, di tali cani.

Il corretto rapporto uomo-animale richiede la conoscenza dei percorsi fondamentali della socializzazione e la corretta detenzione dell’animale e le relative modalità di attuazione che passa anche attraverso una buona dose di ottimismo, come ci insegna il professor William Campbell con il suo «sistema del buonumore»: se due cani litigano, bisogna assumere un atteggiamento allegro, ridere e mostrarsi felici. Il nostro cane sarà portato a pensare che dal momento che il suo capobranco, cioè il padrone, non è minaccioso, non c’è ragione di essere aggressivo. Il discorso è sempre lo stesso: la violenza si nutre di violenza.
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by testintesta

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