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Sanremo come l'Italia

Sì, l’impero ha colpito ancora. L’Italia si è divisa in due, tra moti popolari nel paese reale ed in quello virtuale, regole infrante e ricostruite sull’altare dello spettacolo a piacimento dei potenti, numeri da esibire come trofei ma oscuri come le caverne di Altamira, il televoto come totem mistico nella fabbrica del consenso. E poi, ovviamente l’infantilismo delle tagliatelle di nonna Pina, l’autocannibalismo della peggiore tv, «il popolo sovrano» brandito come clava mediatica, la politica sbeffeggiata nei contenuti ma esibita quand’è satrapìa.

E ancora: fascinazioni di monarchia post-moderna, ballerina, surreale e ultrakitsch, incarnata in un principe più tronista che savoiardo, un profluvio di mamme («Volo subito dalla mia Maelle», cigolava ieri mattina Antonella Clerici nell’ultimo politburo sanremese a porte aperte), di bambine (anche quando ci va di mezzo l’eutanasia, vedi la canzone di Povia) e di buoni sentimenti. Ah, dimenticavamo i conflitti d’interessi malamente dissimulati, come la società di X Factor che organizza il televoto e manda alle due finali due cantanti legati al mondo di X Factor, senza parlare dell’onnipresenza di Amici (Canale5) e del direttore artistico Gianmarco Mazzi, già produttore di uno spettacolo di Riccardo Cocciante, la cui infinita (e tediosa) esibizione ha fatto sloggiare dal palco una quindicenne, Jessica Brando, regolarmente in gara.

IL TRIPUDIO DEI NUMERI Sanremo è lo specchio del paese, certo: uno specchio spaccato in mille pezzi, che rilancia una luce coloratissima ma sinistra. Ieri, passata la tempesta di fischi per il Savoia canterino, all’Ariston i grandi nocchieri del più cataclismatico festival della storia hanno messo in scena il tripudio dei numeri e le lacrime dei coccodrilli. Dodici milioni e 53% di share è il risultato della cabala Auditel per la gran finale: roba impressionante, ma inferiore del previsto (meno di Bonolis 2009) in considerazione dei fuochi d’artificio dell’ultima puntata, tra orchestrali furibondi che stracciano gli spartiti, ululati e fischi, eccellentissime esclusioni, Cuccarine seminude e lo spettro di una par condicio congegnata in modo tale da glorificare il ministro Scajola, presente in platea con la claque. E così, dopo Rania di Giordania, la principessa Sissi, la regina della canzone Nilla Pizzi, la regina dello spogliarello Dita Von Teese, ora lo sceneggiato sanremese è giunto alla regina degli ascolti Antonella Clerici.

Però l’imperatrice è quella che non si è vista mai, ossia Maria De Filippi: per la seconda volta di seguito viene incoronato un topolino da laboratorio uscito dalla fabbrica di Amici - questa volta Valerio Scanu, l’anno scorso Marco Carta - per la seconda volta un prodotto Mediaset fa l’asso pigliatutto nel totem Rai per eccellenza, Sanremo, diventata terra di conquista di poteri forti che stanno a cavallo tra il cosiddetto servizio pubblico e il moloch televisivo berlusconiano.

E nonostante tutto ciò, il direttor di rete, il Mazza Mauro, ostenta orgoglio aziendale: «Anche l’anno prossimo il conduttore sarà un volto Rai. Ci siamo ripresi il festival e ce lo teniamo stretto». In questo gioco di illusioni, finisce persino che il solito Mazzi scopra nuove sensibilità democratiche. «Io sono contrario al televoto, perché in apparenza è il sistema più democratico e giusto ma nella realtà non lo è». Oibò.

L’allegro Mazza dice l’opposto: «Se il festival è tornato a piacere è perché chi lo guarda vi partecipa anche». Fatto sta che Viale Mazzini non ha reso pubblici i dati relativi a numero di votanti, voti assegnati a ciascun cantante, andamento dei flussi. Né sono state dichiarate le preferenze degli orchestrali, che contribuivano per il 50% al verdetto finale. Il Codacons, dal canto suo, immagina di invalidarlo, il voto. Ma non è solo questo il problema. Ti ripetono fino alla nausea di prendere sul serio il mantra della «centralità della musica», ma poi ti spiegano che la potenza di fuoco di Amici non poteva che portare a questo risultato: è quello del talent show di Canale5 «il popolo del televoto», si esercita tutti i giorni, viene cibato da messe in onda mattutine, pomeridiane, serali, viene rilanciato da svariate piattaforme - l’analogico, il digitale, il satellite - viene irrobustito da una massiccia macchina industriale che comprende gadget, spot, dischi. Ovvio che in confronto qualsiasi altro contendente risulta gravemente penalizzato. Nel linguaggio sportivo questa cosa ha un nome: doping.
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by testintesta

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1 commenti:

  1. La politica è ormai presente devastando principi e valori, ogni cosa logica diventa illogica difronte a coloro che hanno le chiavi di Montecitorio.

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